Erano notti lunghe.
Mi giravo e rigiravo tra le coperte. Il respiro di mio fratello riempiva la stanza mentre da sotto la porta filtrava una leggera luce, che curiosa si allungava fino a toccare il mio letto.
Spesso mi alzavo, i miei piedi caldi toccavano il freddo pavimento e silenziosamente aprivo la porta e inseguivo quella luce che si ritirava verso la sala. Lì, seduta sul divano, c'era sempre mia madre, leggeva o faceva parole crociate.
Quello era un po’ il nostro momento, mi chiedeva come mai fossi in piedi a quell'ora e io rispondevo con un assonnato <non riesco a dormire>. Mi sedevo vicino a lei e restavamo lì, alle volte in silenzio, altre volte a chiacchierare del più e del meno.
Dalla finestra mi impegnavo a trovare qualche luce accesa tra i palazzi vicini, forse perché speravo che non fossimo gli unici nel mondo ad essere svegli.
Poi senza che me ne accorgessi i miei occhi diventavano pesanti e silenzioso come ero arrivato, ritornavo a letto. Una musica risuonava nella mia testa finché il respiro si placava dolcemente.