Il mio disco volante

Il crepuscolo aveva dipinto di viola il cielo di Los Angeles, tingendo le colline di sfumature malinconiche. Seduto sul divano fissavo lo spettacolo mozzafiato attraverso le ampie finestre di vetro. L'architettura di John Lautner, con le sue linee sinuose e la sua struttura sospesa, mi avvolgeva in un'atmosfera surreale, come se fossi atterrato su un altro pianeta.

Era il 1960, un anno di grandi ideali e di ombre inquietanti. Il mondo si trovava sull'orlo di un cambiamento epocale, e io, come molti altri, mi sentivo smarrito, alla ricerca di un posto nel nuovo ordine mondiale. La Chemosphere, con la sua tecnologia all'avanguardia e il suo design minimalista, rappresentava per me un simbolo di questo cambiamento, una finestra sul futuro.

Mentre la città si accendeva di mille luci, riflettute sulla superficie liscia del mare, un senso di solitudine mi attanagliava. Il ronzio del frigorifero e il ticchettio dell'orologio erano gli unici suoni che rompevano il silenzio assordante. Mi sentivo come un naufrago su un'isola di cemento e vetro, circondato da una metropoli che brulicava di vita, ma da cui mi sentivo irrimediabilmente distante.

Un sorso di whisky dal bicchiere levigato mi portò un momentaneo sollievo. Il liquido ambrato scivolò giù per la gola come un balsamo, ma non riusciva a placare il tumulto di pensieri che affollavano la mia mente. Che cosa mi riserbava il futuro? Qual era il mio posto in questo mondo frenetico e in continua evoluzione?

Mi avvicinai alla finestra, lasciando che la brezza notturna mi accarezzasse il viso. La vista di Los Angeles era ipnotica: un mare di luci scintillanti che si estendeva all'infinito, un labirinto di strade e vicoli che pulsava di vita. Era la città dei sogni, la terra delle opportunità, ma anche un luogo di solitudine e alienazione.

In quel momento, qualcosa dentro di me cambiò. La Chemosphere, che fino a poco prima mi era sembrata una gabbia dorata, assunse un nuovo significato. Non era più solo un simbolo del futuro, ma un rifugio, un luogo dove potevo ritrovare me stesso e ricominciare.

Spensi la sigaretta e mi allontanai dalla finestra. Era ora di riposare. Domani sarebbe un nuovo giorno, pieno di incognite, ma anche di speranza. La Chemosphere era lì, solida e imperturbabile, a testimoniare la resilienza dello spirito umano e la sua capacità di adattarsi al cambiamento. La città che non dorme mai continuava a brillare, un faro nella notte che mi invitava a non mollare mai.

The Chemosphere_Jhon Lautner

Los Angeles, California_1960

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